sabato 23 agosto 2014

La notte perfetta







E' passato un po' di tempo, non troppo forse, ho provato a scrivere almeno cento volte, giuro, ma, ogni volta, ho cancellato per non lasciare traccia: mancava sempre qualcosa, un dettaglio, l'armonia, e, tutt'al più, la delusione.
Colpa dell'inchiostro apatico o, magari, della matematica.
In questi anni, ho stretto gli spazi, fino a stritolarmi, infiammato com'ero, dalle mie belle speranze.
Scrivevo e scrivevo, senza rotta, cercando di ricalcare le graziose linee disegnate da lei, ma perdevo dannatamente la mia matematica.
Giorno dopo giorno, senza accorgermene, finché - non so bene dire il momento preciso - la scienziata prese le sue cose e, senza voltarsi, andò via col primo treno.
Stentavo a crederci.
Rimasi con pochi numeri, ma non ci demmo per vinti, ci rialzammo fieramente, coscienti di quel che avremmo potuto essere e fare.
E fu così che, con tanti sacrifici, riuscimmo a strappare a noi la notte perfetta.
Occhi lucidi e cuore caldo, nel vestito migliore: ero io, proprio lì, nell'esatta posizione per cui avevo lottato. Non avrei dovuto plagiare nessuna penna questa volta, libero e forte dei miei numeri.
Le stelle cadevano follemente, illudevano di desideri e foraggiavano gli intenti.
Mi spinsi invincibile a lei, le offersi l'empireo e le mie correnti.
Dopo qualche istante presi intimamente le sue mani e feci per portarle al mio petto.
Ma non erano stelle quella notte, si trattava di percezione sensoriale, di scie meteoriche, di pezzetti incandescenti di astri già passati, di frantumi, insomma. Del resto, non avevo più matematica, nessuna operazione sarebbe stata possibile.
Lei seguì le stelle, io i frammenti arsi. 
E la notte era perfetta.


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