domenica 29 aprile 2012

Once upon a time in the west

- Episodio 2 -

Per raggiungere i paesi a sud-ovest della provincia, Salvo era solito imboccare la provinciale 21, la vecchia strada per Ragusa: un susseguirsi di curve e saliscendi per poco più di una carreggiata.
Al Km 49, subito dopo lo svincolo per Siracusa, vi era il Bar-Trattoria del Passiatore ove Mancuso si recava all'apertura per fare colazione oppure a mezzogiorno, per gustare la famosa granita di gelsi preparata secondo tradizione.
Laura aveva ereditato la locanda da qualche anno, dopo la morte del nonno, ma l'inizio della sua collaborazione all'attività risaliva all'infanzia tant'è che i clienti più assidui trovavano in lei, nipote di Giovanni Sapienza, un senso di continuità con i vecchi tempi oltre che un affetto maturato negli anni.
Sin da piccola, appunto, la "signorina Sapienza", come le si rivolgeva il nonno, approfittava del sabato pomeriggio e dei prefestivi per aiutare la nonna nelle faccende del bar e riceveva in cambio una confezione di patatine contenente anche la desideratissima sorpresa.
Col passare degli anni, Laura aveva preso ad occuparsi, oltre che della parte culinaria della gestione, anche della contabilità, delle forniture e delle scelte imprenditoriali: nel marzo del 2008, aveva deciso, in primo luogo, di ristrutturare agli esterni della locanda nel rispetto di storia e origini, giusto per non urtare la memoria dei clienti di vecchia data. In secondo luogo, aveva investito i risparmi per rendere utilizzabile e accogliente lo spazio di circa 500 mq antistante al bar: un parcheggio e un viottolo in mezzo al verde conducente ad un terrazzino ombreggiato da un pergolato allestito con sedie e tavolini di legno.
La locanda, dunque, era gradevole e accogliente, una chicca nella campagna, la granita fuor di dubbio eccellente, ma, ad onor del vero, tutto questo non poteva valere per Mancuso, come per nessun altro, un supplemento di circa 10 km di disgraziate straduzze per arrivare, di volta in volta, alla destinazione prevista.


Si trattava, in realtà, di Laura e, precisamente, del battito di romantica speranza, quasi adolescenziale, con cui Salvo si misurava ad ogni colazione consumata.
Il giovane Mancuso prendeva sempre posto, all'ombra della legnosa e verdeggiante tettoia, al tavolo immediatamente alla destra della soglia del bar; era questo l'unico modo per evitare che la bellezza di Laura lo investisse frontalmente.
Era anche il mezzuccio con cui Salvo si concedeva la possibilità d'ammirarla senza essere intercettato.
Laura, naturalmente, era più che consapevole dell'arcano, ma lasciava che Salvo potesse trovare la sua posizione congeniale, con i suoi tempi, con la sua meraviglia.
Il giovane Mancuso, non era mistero per nessuno, più volte sembrava completamente rimbambito dalla potente femminilità di Laura, dalla fierezza dei suoi occhi grandi e neri come il carbone, dal profumo di lavanda promanante dalla sua chioma mora di ricci lunghi, tirati su morbidamente, quasi a dissimulare l'intento di lasciarli cadere poco per volta sui sospiri d'amor reverenziato di Salvo, come diceva u' prufissuri Toscano.




Il 16 marzo, tuttavia, non consentiva soste sentimentali, le ruote scorrevano, veloci, verso Crocitti, sotto i pensieri mattinieri del giovane Mancuso, su una striscia d'asfalto sporca e senza granite all'orizzonte.
Durante quegli 81 minuti di acchianate e scinnute Salvo poteva godere di "tempo della mente", come lo definiva lui: i percorsi non proprio ortodossi tra le antiche masse di pietra grattata dal sole, la casa cantoniera rossastra  e sorprendente ad ogni passaggio, i 3 squillanti attraversamenti ferroviari rigorosamente deserti, i cavalli rilassati sugli steccati e le immobili vacche sparse sugli altopiani.
Era questo il suo lontano west, l'eversione contro le dinamiche cittadine, il training autogeno prima del match.


martedì 24 aprile 2012

Il mio ultimo caffè








Mi incroci tutte le volte che prendo la strada dei ricordi, rendendo futile ogni mio sforzo teso ad evitarti o semplicemente ad assecondarti senza darti troppo peso.
Tiri fuori dal cilindro il coniglio, me, e intercetti le mie emozioni senza ritegno alcuno.
Oggi non ero su quella strada, quella della mente, del tempo di me,

uscivo dal palazzo importante, fiero e pieno di me: a guardarmi attorno, era un proliferare di mani che si stringevano alle mie in congratulazioni, per amicizia o per trarne benefici.

Il mio animo, quello con cui faccio a pugni da una vita, era intento solo a gloriarsi degli altrui riconoscimenti (in fondo ho sempre la testa di un 15enne); avrei potuto anche improvvisare un balletto, come ho fatto altre volte, sbattendomene dei formalismi da abito rigido, o meglio, mi sarei potuto cimentare in uno dei miei sport preferiti,  il flirting di qualche collega.
Invece no, ho fatto quello che, ormai da un po' di tempo, è mia abitudine: mi allontano come se dovessi recuperare la moto presso qualche traversa fuori mano, tiro fuori il lettore mpNonso, chiudo la cerniera della gabbia di vetro, mi nascondo e cammino, cammino, cammino fino a casa o alla bottega. Non percorro la stessa strada, scelgo secondo orario, luce o, come avrebbe detto una persona a me molto cara, in base alla sensazione.
Mi astraggo nella musica, la mia, nel cielo e tra i pensieri lasciati sospesi, vicino le nuvole, pronti a piovere.
Quest'oggi, più d'altri giorni, ho lasciato fuori tutto, lusinghe e tentazioni, stress e prospettive per evolvermi nel mio tempo, per gridare le mie tensioni.
Quando tu.

Con l'indice della mano destra lambisci il mio volo, oltrepassi le mie barriere, il mio spazio, le mie difese.
Niente frantumi di vetro, giusto il suono di una goccia per richiamare gli occhi, i miei.
E cosi hai fatto alle 13,00.
D'improvviso il traffico, le macchine e i motorini a starnazzare mentre io precipitavo nella realtà, a cercare di capire come ti fossi avvicinata.
Avanzavi verso di me, sagomata nel mio sguardo ammaliato dalla delicata femminilità:

- Come va, bell'uomo?
  (fu l'attacco)
- Bene tu, bonazza?
- Faccio la brava mogliettina, sono una regolare io..
 (sorriso accecante)
- Ci vuole il genio per la sregolatezza - (dissi sornione).
- Ci prendiamo un caffè? lì sarebbe perfetto. Su, su, cosi mi racconti i tuoi successi, ho letto qualcosa, ormai sei una star!
- Macché! son stato fortunato e poi lo sai che io non so perdere, è solo questa la mia fortuna.

(E lei mi parlava, con simpatia e affetto; sentivo la stima e la sua vanità, ma mi rendevo conto, man mano che i minuti ci spingevano l'uno verso l'altra, che nulla era casuale quel giorno, quell'istante, lei.
Quell'incontro, realizzai, era stato immaginato migliaia di volte, sublimato in una passione forte e fugace.
E mentre si assottigliavano le distanze tra il suo profumo e la mia cravatta, cresceva in me, inarrestabile, la voglia di baciarla come quella notte di giugno sotto la luna e poi di amarla come non ha mai dimenticato, come - mi segnala - desidera adesso più d'ogni altra cosa e come - so io - si pentirebbe domani, ma fino alla prossima volta).

- Ehi, bellezza infinita.. 
- mmm, si..
. Ami? Sei riuscita? 
- Ehh??
- Ami tuo marito? 
- Che intendi dire? Ss.. si, certamente.
- Voglio dire, mia cara, hai raggiunto quella pienezza di sentimento che con me non fu mai? Quando sei con lui, avverti l’amore della pioggia, la passione dei colori, la generosità d’animo, il culto del dubbio, lo slancio di passione libero dal sesso, il tormento agrodolce della vita che fa sorridere e piangere? Ti abbandoni a lui quando ti trovi nelle tue famose tempeste del dubbio ove non esiste il senso del “dover/voler essere”? 
Ti senti potente di te stessa, libera da quella quadratura coatta in cui hai cercato sempre di rientrare? 
Io con te lo son sempre stato, innamorato. 
Sei mia perché non mi appartieni, perché ci troveremmo in qualsiasi dimensione, sei mia perché l’unione nostra già esiste a prescindere dal resto, dai tuoi anelli, anche in un bar.

Questo avrei voluto dire.
Coraggiosamente, invece, improvvisai un sorriso affettuoso per sfiatare l'imbarazzo.
Le diedi un bacio sulla guancia, lento e appassionato, 
- Sei bellissima, ciao,
- ciao
mi alzai,
un sorriso, il conto e tornai tra quelle nuvole con il cuore in gola e il passo del giusto.  




giovedì 19 aprile 2012

Il Carcerato



Artista

martedì 17 aprile 2012

Il pilota precipitato

Eh già, quel pilota di un episodio non è riuscito a star su e cosi, senza atterraggio d'emergenza, ha abbandonato il volo e si è lanciato di paracadute per rientrare nella vita normale.



Per riguardo nei confronti degli utenti, annunciamo che Point Break Pictures, Suo malgrado, ha deciso di sospendere, a tempo indeterminato, lo sceneggiato "Le avventure del Giovane Mancuso", dati i deludenti risultati d'ascolto.
Con la speranza di fornire un servizio più adeguato,

La direzione

...Diavolo di un pilota.

domenica 15 aprile 2012

La notte porta scompiglio




Ore 6,00, radiosveglia di blues sulle note di "Sweetheart Like you" e luce che bisbiglia al soffitto per i primi sussurri del giorno, il 16 marzo.
Le parole notturne di Giulia gracchiavano acute nella testa di Salvo ancora dormibondo e in balìa delle ridondanti accuse di mancanze di ogni genere e specie; ma non era il caso di crogiolarsi nell'insofferenza: quella giornata arrivava dopo un'attesa di 6 mesi.
  
“ Minchione che sono!”
“ Non posso farmi rovinare sempre tutto!”
“ Ci sono due milioni di cose da fare e io mi metto appresso a quella!!” 

Una spinta ben assestata e il piumone rosso volò in un'onda anomala fino ai piedi del letto, Salvo balzò atletico in piedi, prese a stiracchiarsi e lasciò letto e risentimenti da femmina.
In pochi minuti barba e doccia, poi giù e poi su ad annodarsi scarpe e cravatta canticchiando, in un buffo anglo-siciliano, gli ultimi graffianti versi  che lo avevano accolto al mattino:

"...There's only one step down from here, baby
It's called the land of permanent bliss,
What's a sweetheart like you doing in a dump like this?"

Salvo, come al solito, in 30 minuti si confezionò in abito grigio, camicia a righe e cravatta liscia, il tutto dissimulato da giaccone nero e guanti di lana chiari per resistere in motocicletta ai 10 gradi di puro gelo siculo.
Ci teneva particolarmente ad uno stile sobrio, perché l’attenzione dell'interlocutore fosse esclusivamente attirata dalla sua dialettica, "a me gli occhi" sembrava intimare prima di proferire verbo o poco prima di immergersi nei suoi ragionamenti.
Erano le 6,30 e, come tutte le mattine, c’era sempre un caffè fuori tempo su cui riflettere, su cui rielaborare il dafarsi. Con un indisponente ritardo di una decina di minuti, dunque, il giovane Salvatore Mancuso si precipitò in garage e, "imbacuccato" fino al naso, montò sulla sua Triunph Bonneville T100 dagli specchietti d'acciaio, strappò 3 colpi al pedale e, di fumo e di rombo, partì alla volta del tribunale di Crocitti.
Ogni mese Salvo era solito recarsi almeno 2 o 3 volte in paesi sperduti, nell'entroterra della regione al fine di adempiere ai fortunati incarichi di legale della famiglia Tornabene. 
Era un'occasione importante e molto apprezzata non solo per la generosità dei suoi assistiti, ma pure per il respiro "internazionale" che acquisiva la sua carriera, almeno sulle bocche dei suoi colleghi. 
Con la scusa della causa a Crocitti o del processo a Scaddati, peraltro, gli era possibile recarsi dallo stimato "Prufissuri Toscano" ritiratosi nella sua villetta alle porte del paese per concentrarsi indisturbato sui classici latini e greci senza le "camurrie de' carusi da' città". 
Il professore considerava Salvatore, cosi lo aveva e lo avrebbe sempre chiamato, come il miglior prodotto della lunga attività di insegnante di scuola, prima, e della facoltà di lettere, negli ultimi 20 anni.
La sua adorazione per Salvo, tuttavia, non era riconducibile ad eccezionali capacità in campo letterario e linguistico; "u prufissuri Toscano", infatti, vedeva nel suo ragazzo una specie di eroe greco dei nostri giorni, fiero e con un complesso temperamento che lo aveva distinto fin da bambino nell'approccio alle "quaestiones".
Salvatore, dal canto suo, era legato al professore da profondo affetto ed ancestrale rispetto; non appena aveva tempo e possibilità, andava a trovarlo munito scrupolosamente delle paste di mandorla comprate da Ninni, in piazza a Crocitti.
Quel giorno, tuttavia, non ci sarebbero stati dolciumi né disquisizioni filosofiche.




(Episodio pilota)

martedì 10 aprile 2012

A volte ritornano, tipo io.


Buonasera, un po' di formalità non guasta dopo tanto silenzio.




Ricordo come fosse ieri la lectio magistralis di un sostituto procuratore della DDA di Palermo ai tempi in cui io, giovane studente di belle speranze, mi affacciavo al mondo della giustizia con tutte le migliori (o peggiori) intenzioni che potessero luccicare negli occhi di un 20enne affamato e battagliero come ero (e forse son ancora oggi).
Prendendo le mosse dal 3°comma dell'art. 416bis del Codice Penale il quale si distingue da tutte le altre disposizioni per il carattere indefinito e impreciso (al fine di poter ricomprendere ogni condotta che abbia riflessi diretti o indiretti nell'attività dell'associazione mafiosa), l'illustre giudice spiegava quale fosse il meccanismo intimidatorio utilizzato dagli affiliati all'associazione al fine di creare lo stato di soggezione e intimidazione a cui si riferisce la norma.
Non si trattava, per la stragrande maggioranza dei casi di una minaccia chiara, concreta, dunque individuabile e punibile, come un avvertimento diretto o un atto intimidatorio; la raffinatezza di un sistema perfetto come quello di Cosa Nostra si manifestava anche in impercettibili segnali che producevano nel destinatario (e in tutta la comunità) la coscienza di una presenza, di un controllo. Il messaggio era: "noi ti vediamo, conosciamo i tuoi movimenti, ti osserviamo, siamo vicini a te e ai tuoi cari". In questo, purtroppo, noi siciliani siamo maestri.
Eppure ci sono stati altri siciliani (più siciliani) che non non hanno subìto questo genere di presenze, non hanno mai valutato l'opportunità di soprassedere a certi inquietanti messaggi.

Nella vita, non credevo, ma mi sono trovato per ben 2 volte dinanzi a questo tipo di "sollecitazioni" e, in entrambi casi, è una delle poche cose di cui vado fiero, non ho ceduto neanche un millimetro.
Avevo deciso di non scrivere più su questo blog a causa di un episodio molto spiacevole che mi ha, non spaventato, ma condizionato; un episodio che, come nella migliore tradizione spaghetti-mandolino, ha inibito la mia libertà di espressione.
Ho pensato a quella lezione, a certe vite, ai miei 20 anni e a come non mi sono mai lasciato intimidire anche quando hanno minacciato diritti diversi dalla libertà (per alcuni anche di valore superiore).
Per questo motivo, riprendo, ritorno semmai me ne fossi andato.
Dirò ancora quello che mi passa per la mente, tra il serio e il faceto, con ironia o senza pregio, ma esprimerò liberamente quello che penso e sento. Vi avverto, se, ahivoi, dovrò affrontare l'annoso problema dei bufali americani o delle gazzelle dell'africa sahariana, non ci sarà grillo parlante che tenga, non ci sarà nessuna forma di limitazione che io accetterò.

P.S. Amo i ritorni in grande stile.





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