domenica 6 novembre 2011

Definitely maybe


Lo schiaffo tonò sordo sul viso barbuto di Enrico, non una parola, non un movimento. Il tempo si rannicchiò in un angolo quando la mano di Siria, piena e solenne, impattò contro il suo viso, il suo nome, la sua vita, a scacciarli via. 
Il collo fu piegato verso destra al punto che il ragazzo, mortificato, non issò gli occhi fatti di lacrime, pieni di colpe, muti; Ricò, cosi lo chiamava, giocosamente Siria, stringeva i pugni mentre quella guancia si fletteva a nascondersi per il rossore violento. 
Siria lo aveva colpito con rabbia di fuoco: tutta se stessa in un istante destinato a durare oltre le foglie d'autunno.
Enrico indietreggiò di due passi e si voltò per raggiungere la camera da letto, Siria si lasciò cadere su quella sedia un po' più in là; era robusta, di legno massiccio, scura. Sollevò i piedi nudi dal cotto, raccolse le gambe al petto e perse il suo sguardo nel profumo di fiori freschi regalateli da Enrico qualche ora prima. Il silenzio sibilava soffice in camera, le pareti erano luminose come i giorni migliori, la luce tagliava, morbidi, i vetri. Ricò entrò, si appoggiò sul comò a sorreggersi e vide di fronte a sé un'immagine riversa allo specchio senza riconoscersi, poi si diresse verso l'armadio. Lo aprì con una carezza, osservò i pezzi lì ordinati e attese qualche minuto la molla, quella che fa scattare il volere: prese, dunque, la valigia e l'adagiò  lieve, sul letto.
Era freddo il sudore sul collo di Enrico, mentre il sangue s'ingrossava fino alle tempie, a bruciare. Si guardava intorno, percorreva più volte lo spazio della camera, nervosamente; dalla finestra all'armadio, al letto, al comò fino ad arrestarsi ad un passo dalla soglia della stanza senza avere la forza di aprire la porta: era ancora accostata, ma non c'erano correnti che potessero trapelare ed in quel momento comprese Siria: aveva chiuso tutti gli spiragli. Ricò, timidamente, spinse lo sguardo sino alla foto felice che trionfava lucida sul comodino vicino il balcone e trovò, poco oltre, l'inevitabile in quel fardello che giaceva sul letto
Per ogni indumento riposto, gli occhi esondavano ad accecarlo, ma Enrico resisteva a malapena all'impeto istintivo, non poteva permetterselo. Si limitava, per aiutarsi, a premere l'avambraccio contro la bocca e a tirare su col naso. Prima la biancheria intima, poi i pantaloni, a seguire le camicie ed, a chiudere, il suo libro preferito. Aveva preso forma un bagaglio per una partenza imprevista, non voluta. Enrico, appena finito, fece scorrere la cerniera, afferrò la maniglia e tirò giù a strappo; ne sentì il peso e la brutalità, ancora.
La porta della camera si muoveva, leggera, impercettibilmente, ma non era di certo il respiro di Siria a tremarla, piuttosto la speranza di Ricò. Attraversò il corridoio verso l'ingresso tenendo la testa verso l'alto; man mano che la soglia si avvicinava, le palpebre battevano ripetutamente come ali incerte al primo volo. Ricò aspettava, o meglio, pregava che Siria lo trattenesse, ma indubbiamente qualsiasi motivo lo avrebbe fatto desistere, restare. Le gambe di Enrico erano piombo da sollevare, l'aria, un muro, Siria, immobile, arroccata su quel ciliegio.
Si chiuse la porta con un flebile doppio tocco, delicato come mai, teatrale come la violenza. Enrico corse via e si fermò solo quando perse il fiato, ma non il pianto, mai rotto.  

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